Il coraggio mostrato da Babe, insieme all’intelligenza, sincerità e gentilezza, serve per fare squadra e creare un gruppo affiatato che sia in grado di combattere e superare ogni tipo di avversità.
Babe riesce inoltre a raggiungere un altro obiettivo, ossia la realizzazione di un contesto solidale, strumento, cioè, col quale si dimostra che l’unione fa davvero la forza.
Il coraggio, la cui etimologia deriva dal latino cor, è una virtù ampia, come dichiara l'origine che la lega al cuore, che fa’ si che chi ne è dotato non si sbigottisca di fronte ai pericoli, affronti con serenità i rischi, non si abbatta per dolori fisici o morali e, più in generale, affronti a viso aperto la sofferenza, il pericolo, l’incertezza e l’intimidazione.
Nei contesti lavorativi attuali è costantemente richiesta una certa mole di coraggio per far fronte al numero di domande crescenti, occupare posizioni lavorative che non sono in sintonia con i propri obiettivi o desideri professionali, combattere importanti fenomeni quali la corruzione, il lavoro in nero, lo sfruttamento lavorativo, il fallimento aziendale (Lacayo & Ripley, 2002)…..o evitare la pentola bollente come nel caso di Babe!
I lavoratori, per far fronte ai contesti lavorativi attuali, caratterizzati principalmente da conflitti e tensioni, tendono a mettere in atto azioni di collaborazione e innovazione, che secondo alcuni autori, possono essere definite delle azioni di coraggio, in quanto potrebbero essere accompagnate da un forte fattore di rischio dato delle conseguenze che tali azioni potrebbero avere in termini di carriera professionale (Hogg & Terry, 2000; Ibarra & Barbulescu, 2010).
Aristotele, per primo, definì la persona coraggiosa come “colui che affronta e teme le cose giuste, per il giusto motivo nel modo e nel momento giusto e con la giusta fiducia nel poterle superare.”
Gaud (2005) definisce il coraggio in termini di emozione, cognizione e comportamenti.
Questa definizione è stata poi ripresa da diversi autori, tanto che in letteratura gli atti coraggiosi vengono ormai definiti lungo tre dimensioni fondamentali: (1) intenzione a perseguire un obiettivo moralmente degno, (2) azione intenzionale, e (3) presenza di rischi percepiti, minacce o ostacoli (Harris, 2001; Kilmann, O’Hara, & Strauss, 2010; O’Byrne, Lopez, & Peterson, 2000; Rate, Clarke, Lindsay, & Sternberg, 2007; Shelp, 1984; Walton, 1986; Wood- ard, 2004; Worline et al., 2002). Affinché l’azione possa essere definita coraggiosa devono essere presenti tutte e tre le dimensioni sopra descritte.
Un atto coraggioso come primo requisito implica il perseguimento di un obiettivo che può essere considerato di nobile rilevanza (Cavanagh e Moberg, 1999; Goud, 2005; Harris, 2001; shelp, 1984; Walton, 1986). L'atto può essere destinato a raggiungere un obiettivo etico (ad esempio, la lotta contro la criminalità), a rispettare un principio o un ideale (ad esempio, denunciare un'ingiustizia), o ad aiutare altre persone (ad esempio, impegnarsi in azioni di cittadinanza attiva, far parte di gruppi di volontariato). Il comportamento indirizzato al solo scopo di favorire l'interesse di un individuo o a raggiungere un obiettivo insignificante non è considerato coraggioso, anche se il comportamento comporta notevoli rischi.
La persona deve inoltre scegliere deliberatamente di spendere energie e sforzi per mettere in atto azioni coraggiose, per cui comportamenti che derivano da richieste coercitive a cui le persone rispondono in modo coatto, non possono essere definite coraggiose (Cavanagh e Moberg, 1999; Goud, 2005; Harris, 2001).
Un atto è considerato infine coraggioso solo se sono noti i rischi personali, le minacce e gli ostacoli (Cavanagh e Moberg , 1999; Harris , 2001 ). I rischi devono essere significativi, ad esempio in un ambiente lavorativo i rischi possono essere di tipo fisico (lesioni personali), sociali (perdita di amici), psicologici (ansia), o economici (perdita del posto di lavoro o decurtazione dello stipendio).
Il coraggio sembra inoltre essere in stretta relazione con i comportamenti sociali e con le credenze di efficacia nel gestire situazioni problematiche e con un elevato livello motivazionale delle persone a raggiungere i propri obiettivi (Rachman, 2004). Altri studi (Goud, 2005) mettono inoltre in evidenzia la correlazione che sussiste tra il coraggio e il senso di responsabilità delle persone, sia verso se stesse che verso gli altri, il senso di appartenenza ad un gruppo e la morale che caratterizza il gruppo (quanto coesi/integrati sono i membri del gruppo?).
Il coraggio sembra dunque essere un elemento che oltre ad aiutare le persone a far fronte a contesti lavorativi sempre più sfidanti, potrebbe sostenere l’inclusione e la partecipazione attiva di persone vulnerabili nei normali contesti di vita, formativi, lavorativi e sociali.
La storia di Babe ci insegna che il coraggio non è solamente quello dei grandi eroi, anche un maialino può avere coraggio, il quale può aiutar a cambiare storie di vita dai finali già scritti, sopratutto attraverso la creazione di contesti cooperativi.
I lavoratori, per far fronte ai contesti lavorativi attuali, caratterizzati principalmente da conflitti e tensioni, tendono a mettere in atto azioni di collaborazione e innovazione, che secondo alcuni autori, possono essere definite delle azioni di coraggio, in quanto potrebbero essere accompagnate da un forte fattore di rischio dato delle conseguenze che tali azioni potrebbero avere in termini di carriera professionale (Hogg & Terry, 2000; Ibarra & Barbulescu, 2010).
Aristotele, per primo, definì la persona coraggiosa come “colui che affronta e teme le cose giuste, per il giusto motivo nel modo e nel momento giusto e con la giusta fiducia nel poterle superare.”
Gaud (2005) definisce il coraggio in termini di emozione, cognizione e comportamenti.
Questa definizione è stata poi ripresa da diversi autori, tanto che in letteratura gli atti coraggiosi vengono ormai definiti lungo tre dimensioni fondamentali: (1) intenzione a perseguire un obiettivo moralmente degno, (2) azione intenzionale, e (3) presenza di rischi percepiti, minacce o ostacoli (Harris, 2001; Kilmann, O’Hara, & Strauss, 2010; O’Byrne, Lopez, & Peterson, 2000; Rate, Clarke, Lindsay, & Sternberg, 2007; Shelp, 1984; Walton, 1986; Wood- ard, 2004; Worline et al., 2002). Affinché l’azione possa essere definita coraggiosa devono essere presenti tutte e tre le dimensioni sopra descritte.
Un atto coraggioso come primo requisito implica il perseguimento di un obiettivo che può essere considerato di nobile rilevanza (Cavanagh e Moberg, 1999; Goud, 2005; Harris, 2001; shelp, 1984; Walton, 1986). L'atto può essere destinato a raggiungere un obiettivo etico (ad esempio, la lotta contro la criminalità), a rispettare un principio o un ideale (ad esempio, denunciare un'ingiustizia), o ad aiutare altre persone (ad esempio, impegnarsi in azioni di cittadinanza attiva, far parte di gruppi di volontariato). Il comportamento indirizzato al solo scopo di favorire l'interesse di un individuo o a raggiungere un obiettivo insignificante non è considerato coraggioso, anche se il comportamento comporta notevoli rischi.
La persona deve inoltre scegliere deliberatamente di spendere energie e sforzi per mettere in atto azioni coraggiose, per cui comportamenti che derivano da richieste coercitive a cui le persone rispondono in modo coatto, non possono essere definite coraggiose (Cavanagh e Moberg, 1999; Goud, 2005; Harris, 2001).
Un atto è considerato infine coraggioso solo se sono noti i rischi personali, le minacce e gli ostacoli (Cavanagh e Moberg , 1999; Harris , 2001 ). I rischi devono essere significativi, ad esempio in un ambiente lavorativo i rischi possono essere di tipo fisico (lesioni personali), sociali (perdita di amici), psicologici (ansia), o economici (perdita del posto di lavoro o decurtazione dello stipendio).
Il coraggio sembra inoltre essere in stretta relazione con i comportamenti sociali e con le credenze di efficacia nel gestire situazioni problematiche e con un elevato livello motivazionale delle persone a raggiungere i propri obiettivi (Rachman, 2004). Altri studi (Goud, 2005) mettono inoltre in evidenzia la correlazione che sussiste tra il coraggio e il senso di responsabilità delle persone, sia verso se stesse che verso gli altri, il senso di appartenenza ad un gruppo e la morale che caratterizza il gruppo (quanto coesi/integrati sono i membri del gruppo?).
Il coraggio sembra dunque essere un elemento che oltre ad aiutare le persone a far fronte a contesti lavorativi sempre più sfidanti, potrebbe sostenere l’inclusione e la partecipazione attiva di persone vulnerabili nei normali contesti di vita, formativi, lavorativi e sociali.
La storia di Babe ci insegna che il coraggio non è solamente quello dei grandi eroi, anche un maialino può avere coraggio, il quale può aiutar a cambiare storie di vita dai finali già scritti, sopratutto attraverso la creazione di contesti cooperativi.
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